Ci eravamo lasciati qualche giorno fa con un articolo sulle esportazioni che si concludeva al grido di “vendetta” e, oggi riapriamo il discorso parlando di quel paese, la Cina dove, speriamo, questa vendetta consumistica abbia inizio al più presto.
Per i cinesi è iniziata l’ora del “revenge spending”, l’ora di programmare nuovi viaggi, l’economia sembra ripartire, negozi e catene riaprono, ma con le dovute precauzioni, fuori iniziano a formarsi le code, la “spesa per vendicarsi”, solo del virus, speriamo, ha così inizio.
Negli Stati Uniti solo da pochi giorni, catene di ogni settore che vanno dai ristoranti ai fast food, dai department store alle boutique di lusso, hanno annunciato chiusure a tempo indeterminato. Così come è già accaduto da noi in Italia e in Spagna e, come sta accadendo in questo momento anche in Francia e in Germania, misure drastiche che permettono l’apertura solo a negozi di alimentari, farmacie e altri considerati di prima necessità.
Mentre tutto ciò accade in Europa, in Cina sta avvenendo l’opposto, tutti riaprono e si parla addirittura di “revenge spending”, che tradotto letteralmente significa: spendere per vendicarsi, la spesa della vendetta. Si sperava che il coronavirus avesse potuto cambiarci in meglio, rendendoci più consapevoli delle cose prettamente esistenziali, rendendoci più umani ma, sempre guardando alla Cina, ci accorgiamo che i beni materiali hanno già ripreso il sopravvento.
Il quotidiano China Daily ha pubblicato, proprio in questi giorni, la notizia che l’85% delle 3.600 gioiellerie della più grande catena cinese, Chow Tai Fook Jewellery Group (il più grande gruppo del settore al mondo per fatturato), hanno riaperto, ovviamente osservando alcune precauzioni come mascherine per gli addetti alle vendite e accessi ristretti. Questo ha fatto sì che fuori da ogni negozio si siano già formate lunghe code. Lo stesso vale per maison del lusso come Chanel che riaprendo i battenti domenica ha visto le prime file formarsi fuori dalle Boutique. Sempre sul China Daily, un altro articolo esprimeva il senso dell’umore post-quarantena, dove le prime liste delle cose da fare per riprendersi erano: andare al ristorante, viaggiare, festeggiare e fare shopping.
L’idea della “revenge spending” non è nuova ed è già stata utilizzata per descrivere la domanda dei consumatori cinesi che è stata scatenata negli anni ’80 dopo il caos e la povertà della Rivoluzione Culturale. E visto che la Cina rappresenta circa un terzo delle vendite dell’industria del lusso, questo non è aneddotico. Però, anche se alcuni negozi sono aperti in Cina, magari l’umore non è quello giusto per spendere 10.000 o più Euro per un orologio di lusso , semplicemente perché nessuno può prevedere come si evolverà la situazione tra un paio di settimane. L’industria ha iniziato a soffrire degli effetti del coronavirus e ci si aspetta una crisi. Una volta terminata la pandemia, si spera che la frustrazione di questi mesi di clausura, possano trovare, proprio nel consumo dei beni di lusso, libero sfogo. E questa potrebbe essere la salvezza per l’industria dell’orologeria.
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