Quando mi si chiede di identificare la fine del vintage – o più correttamente il suo inizio – in genere scelgo come riferimento i Breguet degli anni 80, ovvero quelli dell’epoca Roth. Vero è che la prammatica giornalistica tende a identificare gli orologi vintage con i pre-quarzo, ma la rinascita di Breguet – fra le mani del più straordinario ostetrico della storia micromeccanica – rappresenta a mio opinabilissimo giudizio il vertice dell’orologeria classica del XX secolo.

Motivo questa convinzione nella consapevolezza che le referenze firmate da Breguet in quegli anni furono autentica “rinnovazione”. Ovvero la rinascita delle opere originarie e archetipiche del Maestro attraverso la mano del suo più geniale epigono. Gli esemplari firmati da Daniel Roth – e quelli immediatamente successivi alla sua legislatura – sono infatti modellati nella materia ancora pulsante dei tasca A-L Breguet dalla sola mano capace di rigenerarne l’universale afflato. 

Daniel Roth nel suo atelier di Le Sentier

Siamo schietti: di questi tempi i soldi sono pochi, la pandemia ci avvizzisce l’immaginazione e gli slanci onanistici, ma il mercato del vintage permette comunque al cultore di baloccarsi come un bambino in un negozio di gourmandise o come uno sporcaccione in un bordello da Belle Époque; perché gli ingolosimenti e gli imbarzottimenti modaioli seguono istinti che il cuore dell’appassionato non conosce.

Proponiamo allora ai lettori di Perpetual Passion due sublimi cronografi Breguet della fine del millennio scorso, che non sarà difficile trovare a meno di 10mila euro in ottime condizioni. Due campioni di understatement stilistico e di pregio meccanico, che identificano il gentiluomo senza margine di errore. Un manuale e un automatico, un cronografo da sera, formale; uno da giorno, sportivo. Li abbiamo scelti rigorosamente in oro giallo, perché per noi Breguet è oro giallo. Stiamo parlando del Breguet Classique Chronograph 3237 e del Breguet Marine Chronograph 3460.

BREGUET CLASSIQUE CHRONOGRAPH 3237

Il 3237 è figlio prediletto di Roth e comunica, nella sua diabolica compiutezza, un che di inemendabile. Forse il più bello in assoluto dopo il 3050. Questo cronografo porta tutte le nobili stigmate di ciò che oggi identifichiamo a colpo d’occhio come Maison Breguet e che fu, di fatto, fusione creativa fra Abraham-Louis e Daniel Roth: cassa a moneta con scanalature laterali, anse rette, quadrante in oro finemente lavorato guilloché à clous de Paris, lancette à pomme évidée.

La misura è aurea per un chrono: 36 millimetri. Oggi si direbbe piccolo, perché grossolano è il gusto. Attraverso il fondello in vetro zaffiro vi è poi il Lemania 2320, macchina già di per sé rimarchevole, ma che, una volta uscita dagli atelier della carrozzeria Roth con il nome di Breguet 533.2, metteva in movimento il non plus ultra della cronografia. E infatti non siamo più andati molto oltre. 

BREGUET MARINE CHRONOGRAPH 3460

Il Marine 3460 è un esemplare che mostra come si possa disimpegnare il cerimoniale con garbo filologico. Questo segnatempo incarna infatti il cronografo sportivo di classe. Perché indossa una dinner jacket di taglio squisito sotto la muta subacquea e, quando serve, sa farla uscire incorrotta anche dopo un’immersione. Le misure sono paradossalmente ancor più discrete del 3237, con un diametro di 35.5 millimetri e uno spessore di soli 10.

Sotto quel grazioso scafandro impermeabile fatto di anse ricurve più robuste – e anatomiche – fondello avvitato e una corona sovradimensionata protetta da spalle forti, vi sono tutti i tòpoi della classicità e tre compax che riempiono lo spazio del quadrante con piglio picaresco.

Anche la macchina fu pensata per un uso più intenso e sportivo: sotto il calibro Breguet 576 si nascondeva infatti il Frederic Piguet 1185, ovvero la supercar dei cronografi automatici dell’epoca. Che per prestazioni, affidabilità e finiture può ridicolizzare il 95% del parco circolante contemporaneo.

La supplementare e provvidenziale meraviglia di questi due pezzi è che… non suscita l’imbarazzo della scelta. Sono infatti complementari nel guardaroba orologiero del conoscitore. E si portano a casa, entrambi, al prezzo di un prodotto industriale confezionato da qualche discutibile testimonial.