Watches & Wonders 2020 sarà ricordato come la prima fiera multimediale, connessa, digitale, dell’orologeria. Snodo epocale accelerato e reso impositivo dalla pandemia. La chiusura delle fiere di settore così come le conoscevamo è la fine di un’idea di raccordo divulgativo che trovava propulsione dalla generazione dei nostri nonni. E’ la fine di un’idea di acquisto che trovava propulsione dalla generazione dei nostri nonni. 

Anni fa scrivevo sulle pagine di Business People come il configuratore online sarebbe divenuto l’orizzonte naturale e culturale del cliente. Ricevetti mail dubbiose; alcune addirittura sfottenti. “Ma figurati!”, mi si diceva. “Figurati se Rolex ti permetterà mai di configurarti online un Submariner!” E ancora: “Figurati se un appassionato accetterebbe mai di comprarsi un orologio da 20mila euro senza toccarlo, senza neppure provarlo!”. Ebbene… giudicate voi la strada intrapresa. Ma avremo modo di parlarne a lungo su Perpetual Radio nelle prossime settimane.

La prima fiera con piattaforma “da remoto” della storia traccia un solco profondissimo fra vecchi e nuovi scenari. In questo spazio voglio scegliere i cinque orologi che più mi sono piaciuti di questa edizione, benché non li abbia potuti toccare con mano. E benché l’atmosfera sia stata raggelata dalla quarantena dello spirito che stiamo vivendo, si sono visti pezzi intriganti. 

Registro una generale tendenza delle Case – in assenza di epifanie di design – a valorizzare con acume il meglio del proprio patrimonio, spesso incomprensibilmente dimenticato. Fuor di Wonders, da possessore di vecchio Top Time “Zorro”, sono felice che Breitling abbia rilanciato questo modello, anche se con un calibro industriale. E tanto abbiamo detto di Audemars Piguet, che ha finalmente riaperto il dialogo con gli anni in cui rappresentava la crème della cronografia signorile. Per quanto riguarda W&W, scelgo un Hermès, un IWC, un Laurent Ferrier e due Cartier. Mi riservo di dedicare al nuovo Montblanc Heritage Pulsograph un servizio fotografico, perché la fusione con Minerva ha raggiunto forse la sua vetta espressiva.

Partiamo proprio dalla Maison. Se il nuovo Pasha non brilla per carisma nelle configurazioni in acciaio, mentre piace molto di più in oro giallo, mi sdilinquisco per il ritorno dell’Asymétrique. La referenza azzimatissima della Collection Privée, uscita a cavallo del millennio scorso con calibro Jaeger-LeCoultre, viene oggi sostituita da un modello più fedele all’originale del 1936.

Quando scrivo di Cartier, lo confesso, perdo ogni distacco. La quasi totalità dei miei risparmi, negli anni, sono stati investiti in Cartier vintage. Ma la forza del debole personale non fa velo sull’oggettività: nessuno come la Maison ha saputo modellare la forma dell’orologeria. Dal Santos del 1904, passando per il Tonneau del 1906, il Tortue del 1913 al Tank del 1919, proprio all’Asimmetrico del 1936, al Crash… Fin dagli albori dell’orologeria il flusso circolare del tempo non veniva semplicemente accompagnato da casse rotonde, piuttosto proiettato, sedotto, corazzato, espugnato. E nell’arte di proporzione, nell’equilibrio fra concretezza funzionale e incanto onirico, risiede da sempre il genio Cartier.

La calda morbidezza di tocco si sublimò alla fine degli anni 50 nel Baignoire, che rinnovò guizzi stilistici introdotti già nel 1912; oggetto di superba femminilità, lo ricordiamo vestire il polso di regine come Romy Schneider e Catherine Deneuve. Ma l’apice espressivo del modello venne raggiunto con il Baignoire l’Allongée, variazione unisex cesellata negli studio di Cartier London, riproposto in declinazione gioiello in occasione del SIHH 2019. 

Cartier Privé Collection Tank ‘Asymétrique’

L’Asymétrique di oggi – offerto anche in versione scheletrata 9623 MC e in vari metalli – si esalta per purezza nella versione tradizionale in oro giallo, che monta un movimento di Manifattura a carica manuale, calibro 1917 MC. Il Cartier Privé Tank Asymétrique sarà prodotto in 100 pezzi per ogni configurazione.

Irresistibile anche il nuovo Santos-Dumont XL “La Baladeuse”. Realizzato in 300 pezzi, monta il calibro 430 MC di Manifattura a carica manuale e presenta un fondello gradevolmente inciso con il dirigibile motorizzato del pioniere brasiliano, il n° 9, quello che sorvolò Parigi nel 1903. La composizione cromatica è deliziosa: cassa in oro giallo, quadrante champagne, cinturino in coccodrillo verde opaco cucito a mano. Sfere a gladio e numeri romani sono in blu, come il blu dello zaffiro che impreziosisce di prammatica la corona di carica, magistralmente lavorato a cabochon.

Hermès Slim d’Hermès GMT

Ma non solo Cartier, anche Hermès è una benemerenza di creatività d’oltralpe dall’afflato universale. Mi è sempre piaciuta la collezione Slim, uno dei rarissimi esempi di felice fusione fra allure classica e minimalismo contemporaneo. Ma la cassa da 39.5 era forse eccessiva per solotempo e perpetui così eleganti e sottili, specie con quadranti chiari. Il diametro è invece perfetto per il più sportivo GMT.

Meravigliosa la nuova scelta cromatica del dial, profondissimo e denso, dove si immergono gli inconfondibili caratteri tipografici e dove splende la “luna” granito del contatore GMT, dalle cifre ordinatamente caotiche, tra il 9 e l’11. Aspetto di vederlo dal vivo e indossarlo, perché per quelli dei vecchi tempi è ancora un’esperienza decisiva. Già la versione 2018 convinceva, ma visto a schermo, con il calore della cassa in oro rosa ad abbracciare il blu… è amore.

Sappiamo poi che gli orologi del marchio francese non sono soltanto squisiti accessori che scivolano sotto il polsino della camicia; sono anche gioielli micromeccanici, perché dentro il vestito della Manifattura Hermès pulsa il magistero Vaucher Fleurier; lo stesso che muove Parmigiani, per intenderci. E in questa referenza, animata dal calibro automatico H1950, si avvale altresì del contributo esclusivo di Agenhor, che ha realizzato per Hermès il modulo ultrapiatto GMT. La pelle sulla pelle è un alligatore opaco blu abisso, foggiato con sublime finezza dagli atelier Hermès.

IWC Portugieser Automatic 

Ha lavorato molto bene anche IWC con il nuovo Portoghese Automatico. La sovrabbondanza nelle proporzioni, tipica della collezione, è sempre stata giustificata dalla sua genesi: il Portoghese nasce infatti come orologio da tasca. Tuttavia, la sua pulizia stilistica non viene affatto tradita da un diametro più discreto, senza cadere negli eccessi di miniaturizzazione del “Little Portuguese” 3531 da 35mm degli anni 90.

La versione del Portugieser Automatic da 40.4 mm di diametro e 12.3 di spessore in oro rosa con il calibro di Manifattura 82200 presentata a Watches & Wonders 2020… è semplicemente splendida. Splendida di semplicità. Solo il prezzo – fissato a 17mila euro tondi – raffredda gli entusiasmi. Più corretta la cifra richiesta dalla versione in acciaio, che, superando di poco i 7mila euro, rende questo modello commercialmente più attraente, anche se vicino ai 7.950 richiesti per il rinnovato Chronograph.

Laurent Ferrier Grand Sport Tourbillon

Chiudo con un esemplare che mi ha riconciliato con Laurent Ferrier. Il suo Grand Sport Tourbillon, pur se meccanicamente sublime, sapeva infatti di profanazione, a causa di quello stonato cinturino in caucciù. Oggi, con il nuovo e calibratissimo bracciale integrato e un bel quadrante opalino che vira dal blu notte al nero, trova finalmente se stesso.

Questo superbo e poderoso segnatempo, con l’F.P. Journe Chronographe Rattrapante e l’Audemars Piguet Tourbillon Extra-Piatto, rappresenta il fastigio della meccanica orologiera applicata all’orologeria informale elegante. Presto, su queste pagine, una sfida a tre fra questi fuoriclasse.