“La vita va misurata in risultati, non in anni” disse un giorno Bruce McLaren. E quando il destino beffardo fece schiantare la vettura da corsa che stava testando, furono proprio queste sue parole ad echeggiare solenni negli animi di chi lo aveva stimato. Il pilota neozelandese, fondatore della scuderia omonima, scomparve così, cercando invano di domare un mostro da oltre 670 cavalli che aveva perso l’ala posteriore. Era il 1970: il giovane McLaren, a soli 32 anni, aveva già tra i suoi trofei quattro vittorie in Formula 1 e una alla 24 Ore di Le Mans.

Oggi, a distanza di cinquant’anni, sono proprio i risultati ottenuti ad evidenziare il codice genetico della factory di Woking. Da un lato si può sciorinare quell’invidiabile palmarès che fa della scuderia d’oltremanica una delle più titolate di sempre, grazie ad otto titoli costruttori e dodici piloti collezionati da figure mitologiche del motorsport come Fittipaldi, Hunt, Lauda, Prost, Senna, Häkkinen ed Hamilton.

Dall’altro troviamo due capolavori di design e ingegneria che, portando su strada pubblica l’esperienza maturata nelle corse, hanno indelebilmente inciso il loro nome nella storia dell’automobilismo. McLaren F1 e P1, nel 1993 e nel 2013 rispettivamente, hanno portato l’asticella delle performance laddove i competitor più blasonati non erano ancora arrivati. 

Abbiamo avuto la possibilità, grazie a McLaren Milano di testare la GT, supercar che ha riscritto le regole delle gran turismo ad altissime prestazioni.

A precederne le doti dinamiche e funzionali, c’è l’eleganza: una figura snella e sapientemente equilibrata in livrea Namaka Blue, esclusivi cerchi in lega d’alluminio con taglio a diamante per rimarcare con gusto l’indole del mezzo, fanaleria dal design inedito, generose prese d’aria all’anteriore e lungo le fiancate. Il marchio di fabbrica emerge con distinzione all’aperture delle porte, che come da tradizione si muovono verso l’alto ruotando leggermente in avanti.

Una volta accomodati a bordo, seduti a pochi centimetri da terra, si viene circondati da un abitacolo interamente rivestito da pregiata pelle nappa rigorosamente cucita a mano; fanno differenza solo alcuni dettagli in carbonio o in alluminio spazzolato. Alla luce del sole, tutto viene magnificamente illuminato dal tetto panoramico in vetro elettrocromatico.

Uno stretto tunnel centrale con pulsante d’avviamento, comandi del cambio, controlli per assetto/motore separa il pilota edal suo fortunato passeggero. Alle loro spalle, si apre un inedito vano portabagagli da 420 litri posto appena sopra al propulsore: unitamente a quello anteriore da 150 litri, è in grado d’ospitare un set di valigie composto da porta abiti, borsone weekend, trolley da cabina e una sacca da golf — oppure due paia di sci, a seconda della stagione. 

Gli ingegneri McLaren hanno rivisto il classico otto cilindri biturbo della Casa. La GT sa mostrarsi docile e disinvolta nella guida urbana, amabile e molto precisa nei percorsi fuori città fino a 4-5000 giri; oltre questa soglia i 620 cavalli di cui dispone il V8 proiettano inevitabilmente chi sta a bordo in una progressione rabbiosa e mozzafiato fino agli 8000 giri del limitatore. L’accelerazione non è da meno: bastano 9 secondi per raggiunge i 200 km/h con partenza da fermo. La potenza viene trasferita all’assale posteriore dalla trasmissione SSG a sette rapporti; le sospensioni a doppio braccio oscillante sono abbinate ad ammortizzatori idraulici e sono dotate di un sistema di controllo elettronico che riesce ad interpretare le necessità di guida adattando l’assetto in due millisecondi.

Una supercar in piena regola, con crismi qualitativi propri di una gran turismo d’alto lignaggio. Una vettura unica, ad oggi priva di competitor se si considera l’elevata capacità di carico, che sa trasformare qualsiasi viaggio di coppia in un’esperienza davvero memorabile.

Onore a McLaren, per un altro eccellente risultato.