Quest’anno Panerai ha festeggiato i 70anni del brevetto Luminor, che rimanda al trizio e al secondo dopoguerra. Ma in questo editoriale non ho intenzione di ripercorrere la gloriosa quanto burrascosa storia del più importante marchio italiano di orologeria poiché la letteratura a tal riguardo è ricchissima e profonda. Voglio piuttosto salire a cavalcioni su di un siluro a lenta corsa, nel tentativo di sabotare qualche luogo comune sulla Manifattura e di affondare la nave da battaglia dei fondamentalismi più ostili.

 

Ora, come molti di voi lettori sapranno, la comunità internazionale dei Paneristi ha un forte sentimento identitario che si traduce in una certa intolleranza per tutto ciò che è marketing-oriented e modaiolo. “Turisti” vengono chiamati i fighetti che ostentano Panerai da aperitivo o comunque ritenuti “felloni”. Questo fiero e nobile approccio degenera spesso, malauguratamente, in un oltranzismo passatista che boccia ogni prodotto coniato dal brand che non riproduca ossessivamente gli stilemi originari; fino a criticare con verve persino un pezzo a loro dedicato, come accaduto al Radiomir realizzato quest’anno dalla Casa per il 20esimo anniversario del sito paneristi.com. La bagarre fra i puristi e i post-modernisti, definiamoli così, esiste in molti ambiti merceologici. Per un porschista che si sdilinquisce nel contemplare la sua brand new Cayenne diesel, ci sarà il “vero porschista” che la schiferà, affermando che un furgone a gasolio non sarà mai una “vera Porsche”. Quid est veritas? L’equivoco fondamentale nasce dal fatto che certi brand hanno acquisito valori semiotici, simbolici e culturali tali da far dimenticare di essere società commerciali che vendono un prodotto. In questa melmosa ambiguità il marchio fiorentino galleggia dal 1997, anno dell’acquisizione da parte del gruppo Vendome, oggi Richemont. Lavorando di sottrazione, si arriva a un interrogativo retorico fondamentale: Panerai dovrebbe cercare di allargare la platea di potenziali clienti, oppure preoccuparsi di onorare la propria genesi e il suo popolo con referenze filologicamente rispettose dell’ortodossia, trascurando i tatticismi commerciali? Talvolta le due visioni potrebbero operare in armonia e soltanto il cinismo e l’inettitudine dirigenziale di chi brutalizza il giacimento che ha per le mani ne vanificano il potenziale congiunto, come accaduto in Italia con Lancia. Ma è evidente che se Panerai avesse ascoltato soltanto i Paneristi, sarebbe fallita tanto tempo fa e ridotta a nostalgicume militare da mercatino. Oggi invece è uno dei marchi più riconoscibili al mondo – in un mondo dove la riconoscibilità è tutto – che fattura circa 900 milioni di franchi svizzeri e che ha saputo preservare una coerenza espressiva e ingegneristica invidiabili, con enfasi crescente su di una spiccata marinità e sulle discipline estreme, senza sputtanarsi in derive modaiole e affinandosi costantemente nella qualità micromeccanica. Scendere nel dettaglio di ciò che è stato fatto bene, ma che poteva essere fatto meglio negli ultimi vent’anni abbondanti dal Gruppo in cui il marchio è incastonato… sarebbe ozioso, eppure dovrebbe essere chiaro che Officine Panerai, nata nel 1972, dal 1993 fa segnatempo per civili e non è più coperta da segreto militare. Chi capisce qualcosa di orologi si rende conto della distanza siderale che separa un pur caro e affidabile Unitas da un odierno P.4000, anche se la scritta Automatic sul quadrante nausea i puristi, che preferiscono gratificarsi scambiandosi 005 e 111.

 

 

Un Panerista fondamentalista vorrebbe vedere uscire dalla Manifattura solo bellicosi Luminor/Radiomir d’acciaio, da 44 o 47mm (anche se, volendo essere pedanti, soltanto i Radiomir 3646 hanno fatto la guerra con la Regia Marina, peraltro animati da movimento Cortebert Rolex e con una bella corona sulla corona), calibri manuali rifiniti con la pinza da carrozziere, fondelli chiusi, quadranti neri, ore, minuti e testosterone. Senza capire che la Guido Panerai & Figlio, laboratorio di quegli strumenti da loro evocati, non replicava: al contrario inventava, innovava. Come si sforza di fare oggi, grazie a una ricerca sui materiali che non ha eguali fra le Case del Gruppo Richemont. E sempre nel solco della consuetudine di allora, con reiterati omaggi, a volte significativi, a volte solo piacioni, ma sempre conformi. Il Radiomir 425 S.L.C di oggi, per esempio, con un glorioso “maiale” che si immerge nell’oscurità del quadrante, è di fatto la fedele rivisitazione dei 2553 prodotti fra il 1936 e il 1938 come primi prototipi di orologi militari subacquei.

 

I Luminor Marina Limited edition presentati al Watches & Wonders “connesso” e celebrativi dei 70anni del brevetto possono essere percepiti come spettacolari esempi di orologeria sperimentale o patacconi fluo adatti a rapper tatuati, ma sono consequenziali e inediti al contempo. La Super-Luminova Panerai che li illumina (fin troppo), è, mutatis mutandis, abbacinante come il Luminor di un tempo, senza la scocciatura epidermica della radioattività, mentre Fibratech e Carbotech sono più efficienti del crudo acciaio e talmente accattivanti da far quasi dimenticare quel biasimevole “Warranty 70 Years” inciso sul fondello. Ma nel caso si ritenesse il pirotecnico omaggio una pacchianata decisa dall’ufficio marketing, c’è pur sempre a disposizione il più introverso Luminor Logo 44mm, duro e laconico come piace ai conoscitori.

 

 

Se il Luminor 2 è stato accolto dai Paneristi come l’ultimo chiodo fighetto nella bara dell’integrità virile, le collezioni attuali presentano dunque ancora tante referenze a catalogo che dovrebbero accontentare gli estimatori più maschi e intransigenti. I Pam372 e 422 sono poderosi esempi di rigore militaresco. 914 e 915 non prestano il fianco a spernacchiamenti, avendo tradotto l’esterofila scritta “8 days”, criticata all’ottimo ex Ceo Angelo Bonati, in “8 giorni”, squisitamente italica quasi come “Cazzomir”. Il “Pirata” 590 è il più riuscito in assoluto, nella sua fusione fra richiami al celebre 203 e negligenze calcolate.

 

Passando in rassegna con maggiore attenzione i Radiomir, per i quali ho una predilezione, se in vendita vi sono referenze – come i 685 e 687 – che sarebbero state a loro agio anche al polso di Luigi Durand de la Penne, ve ne sono state altre che potevano scivolare con studiato malgarbo sotto un abito in solaro. A tal riguardo, se già il Pam740, in oro, quadrante California, era uno spettacolo per gli occhi e per i polpastrelli, la magia vera effluiva dal 336 con anse a filo, quadrante marrone e raffinatissimo calibro P.999 a ponti separati: un pezzo che immagino romanticamente al polso del Comandante Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria. Ma anche il 574 animato dal solido calibro di Manifattura P.1000, oggi disponibile in collezione al prezzo – un po’ impegnativo – di 7.400 euro, è un giusto solotempo sportivo da tutti i giorni.

 

L’idea di creare un dress watch firmato da Officine Panerai era indubbiamente apprezzabile, ma l’azienda ha sbagliato modello. Certo la cassa Bettarini e il ponte proteggi corona sono i topoi espressivi maggiormente riconoscibili per la clientela “civile” di tutti i continenti, cionondimeno, il Radiomir meglio si prestava allo scopo. Un Luminor garantito impermeabile fino a soli 30 metri di profondità è una presa in giro, poiché rende il geniale ponte con leva di serraggio a camma, progettato per resistere alle sollecitazioni delle profondità marine, una mera effigie di facciata che può essere scrostata anche da un tuffo in piscina. Se per una donna può andare – e il 38mm al polso femminile è davvero piacevole – su di un uomo il pur sottile e meccanicamente evoluto Luminor 2… fa un po’ turista del marchio con la cartina in mano. La splendida cassa a cuscino del Radiomir, meglio ancora se con le anse a filo, al contrario, ridimensionando i diametri sotto i 42mm e con l’utilizzo di metalli preziosi, avrebbe dato vita a un autorevole dressy Pam. Il 198 in platino ridotto a 40 millimetri poteva essere la scelta più pertinente come modello di lancio. Ma sono certo che neppure un’operazione commerciale di questa foggia sarebbe stata digerita dai rigoristi: “Se voglio un orologio da sera, non prendo certamente un Panerai”; “Niente gioiellini da signorine, grazie”.

 

Considerandomi un discreto collezionista di vintage Cartier, se raccontassi ai Paneristi che cosa penso del nuovo Santos in Pvd, o anche solo dei diver Calibre, prenderei del talebano persino da loro. Solo per far capire che se si parla di altre Maison si è soliti dire che “osano”, che “svecchiano”, che “interpretano i tempi”; quando invece l’attenzione cade sui cangiamenti Panerai, si afferma che “tradiscono la tradizione”. In realtà, fondamentalismi a parte, si possono fare orologi brutti oppure orologi belli. I recente 1314 e 655, che poco hanno a che fare con la prammatica più irremovibile (bianchi, automatici, fondello trasparente), sono orologio splendidi. E lo sarebber0 anche al polso di un Panerista.

 

Se dico Sub, che cosa vi viene in mente? Il Submariner?! Mi sbilancio: il Submersible è il miglior diver al mondo sotto i 10mila euro. Il nuovo Azzurro, disponibile solo online in ossequio ai tempi digitali in cui esistiamo, dovrebbe essere un vanto per qualunque patriota orologiero. All’azienda si può contestare solo un’operazione un po’ pelosa, sfuggita ai più, ovvero la sostituzione sui 42mm del pregevole calibro P.9010 con il più ordinario P.900, senza apprezzabili sforbiciate di listino. Ho avuto un 682 – che spesso rimpiango – e lì non c’era concorrenza a parità di prezzo. Il Bronze – più caro e impegnativo per dimensioni – che ancora monta il P.9010, genera arrapamento fisico nei masculi sensibili, e se la gioca con l’Omega PloProf come professionale più carismatico al mondo.

 

Approfondendo quindi le soluzioni meccaniche, così insignificanti e salottiere per il popolo dei Paneristi, è difficile lamentarsi della gestione Richemont. Officine Panerai è fra le aziende che più hanno investito in nuovi calibri e dalla nascita della Manifattura di Neuchâtel nel 2002 – inaugurata con il P.2002 8 giorni a carica manuale – lo sviluppo è stato costante. Per chi capisce un poco di micromeccanica industriale, risulta oggi difficile preferire con decisione Rolex a Panerai. Se Rolex spicca ancor nella cronometria e ha un lieve vantaggio qualitativo in termini di fattura complessiva, è certamente più limitata sul piano delle soluzioni ingegneristiche, come dimostra con evidenza Lo Scienziato 1950 Tourbillon Gmt.

 

Due parole finali sui cronografi, che trovo superflui nella collezione Submersible: in passato mi ha rubato il cuore soltanto il Radiomir Split-Second 147 con calibro Vénus 185, per il quale stavo per fare una pazzia, e neppure il patrizio Mare Nostrum 716 mi ha mai rapito, ma ho di recente provato al polso il 654 con cinturino in canvas ed è inebriante quasi come un ketch di William Fife. Notevolissimo sul piano delle prestazioni il Luna Rossa Regatta 1038 con calibro P.9100/R, che utilizza il tessuto tecnico delle vele per dare forma e un caratteristico color grigio screziato al quadrante – come tutta la collezione dedicata all’imbarcazione italiana di Patrizio Bertelli e a tutto il Prada Racing Team.

 

In conclusione, a mio giudizio Officine Panerai ha realizzato negli ultimi 23 anni un’apprezzabile fusione fra Dna militare e raffinatezza borghese, fra rude vocazione professionale e svolazzi da prendisole, fra laboratorio fiorentino e Manifattura svizzera. Una fusione ruffiana il giusto, che tuttora permette di vendere circa 80mila orologi l’anno e chissà quanti cinturini. Lasciando a tutti, indigeni, turisti e signore, ampia gratificazione a catalogo con l’aggiuntatura, perseverante negli anni, di un ipnotico florilegio di edizioni speciali. Un giovane e ricco eteroscettico di natali incerti che esibisse il suo pettinato Panerai in qualche cocktail rivierasco a chilometro zero non potrebbe mai penetrare la compartimentazione cellulare della Flottiglia né intaccarne l’onore: sarebbe soltanto un buffo insetto di mare sullo scafandro.