L’edizione ginevrina di Watches & Wonders 2021 – resa forzatamente online dalla pandemia – si sta concludendo mentre scrivo. In attesa di tornare in presenza a Shanghai, per il secondo atto della manifestazione, l’inevitabile appiattimento divulgativo di una piattaforma digitale comune ha generato, par opposition, una maggiore attenzione sui prodotti della kermesse; l’unico nucleo di aggregazione dell’orologeria mondiale rimasto dopo l’inopinato seppuku di Baselworld.

Il nuovo format del Salone era incastonato a Ginevra, come per i passati SIHH, ma il giornalista visitatore poteva trovarsi ovunque nel mondo, anche sul divano di casa. Le presentazioni da remoto hanno alternato sforzi creativi davvero pregevoli – su tutti Vacheron Constantin – a compitini da nerd della comunicazione e, al di là di qualche malfunzionamento dell’interattività di watchesandwonders.com – colmato dalla fulminea tempestività degli uffici stampa italiani – l’esperienza multimediale è stata gradevole. L’imbarazzo di dover intrattenere senza l’aiuto della cinesica e soprattutto della percezione aptica è stato più palpabile degli orologi, ma per le nuove generazioni, educate al distacco degli acquisti via web, forse questo disagio non ha turbato la ricezione. Per noi vale più una tangibile prova al polso delle acrobatiche picchiate di un drone dal cielo di Ginevra fino alla gabbia di un tourbillon, ma grandi marchi, come Rolex, IWC, Piaget, Baume & Mercier ci hanno gratificato con sedute anticipate o parallele in presenza. 

Veniamo allora agli orologi più significativi presentati dalle 38 Maison in mostra (A. Lange & Söhne, Arnold & Son, Baume & Mercier, Bulgari, Carl F. Bucherer, Cartier, Chanel, Chopard, Chronoswiss, Corum, Ferdinand Berthoud, Greubel Forsey, H. Moser & Cie., Hermès, Hublot, IWC Schaffhausen, Jaeger-LeCoultre, Louis Moinet, Louis Vuitton, Maurice Lacroix, Montblanc, Nomos Glashütte, Oris, Panerai, Patek Philippe, Piaget, Purnell, Rebellion Timepieces, Ressence, Roger Dubuis, Rolex, Speake-Marin, TAG Heuer, Trilobe, Tudor, Ulysse Nardin, Vacheron Constantin, Zenith).

L’impaccio divulgativo e il conformismo espressivo della formula hanno contaminato anche le idee, il cui livellamento è stato evidente. Basti notare l’indolente ossessione per i quadranti verdi, forse in ossequio alla sensibilità “green” dei più avanzati salotti della società globale. O puntualizzare come di nuove creazioni partite da foglio bianco, di nuovi modelli autentici non vi sia quasi traccia. Tante riedizioni – alcune avvertite, altre meno – ampiamenti di collezioni, sgargianti cromie, nuove complicazioni, ma nessuna vera epifania. La qualità delle massime esecuzioni è pregevolissima, va chiarito, poiché l’altissimo di gamma è un settore di mercato che ancora funziona e il savoir-faire delle grandi manifatture inattaccabile: è mancato il guizzo iconoclasta. Ma come dicevamo, questo permette di intercettare più facilmente i pochissimi che ruotano su un’orbita ellittica rispetto alle mode o all’immobilismo della consuetudine.

Sicuramente Bulgari, che con il suo nuovo Octo Finissimo Calendario Perpetuo ha ridefinito la complicazione più tradizionale e austera dell’orologeria, non solo per miniaturizzazione, ma anche per applicazione. Calata nel raw titanium della cassa ottagonale e con affissioni che spiccano per razionalità funzionalista e leggibilità – pur nel solco di Daniel Roth – è un pezzo di finezza assoluta. Tanto da garantire il settimo record consecutivo per la collezione Octo Finissimo. Fabrizio Buonamassa Stigliani ci ha messo mano, e si vede, ma gran parte del merito, come da lui stesso confessato, è della straordinaria perizia dei maestri che lavorano alla Manifattura di Le Sentier.

Anche Patek Philippe ha ripensato la complicazione con un perpetuo a tre finestrelle di ancor più immediata leggibilità. Superbo esemplare il 5236 in platino e straordinario il nuovo calibro 31-260 PS QL con modulo aggiuntivo per la visualizzazione in linea, ma proporzioni, cifra espressiva ed affissioni sono un omaggio al classicismo dei tasca della Maison prodotti per il mercato statunitense. L’Octo Finissimo Perpetual Calendar, invece, sarà un classico di domani. 

Fra gli sportivi, scelgo il Panerai Submersible 42 in bronzo. Semplicemente perché è oggi il diver più carismatico al mondo e uno degli orologi più fighi tout court. Viviamo ormai nell’età del bronzo, in orologeria, tale è il numero di brand che declinano in questo materiale le proprie referenze, ma il marchio Panerai ne fu antesignano più che gregario, con il primo Submersible Bronze del 2007. La cassa da 47, tuttavia, lo rendeva adatto solo ai paneristi più massicci. Personalmente, guardando più alla coerenza fra cassa e calibro e alla vestibilità che alla prammatica militare, aspettavo con fiducia un Sub in bronzo con cassa da 42. L’abbinamento con il quadrante blu abisso, poi, ha uno squisito sapore nautico. Un orologio che sembra emerso dal futuro in un romanzo di Conrad e che vorrei fotografare fra carteggi, sestanti, barometri, fanali di via e un’elica tripala.

Il mio riferimento esecutivo era il Submersible 1950 3 Days Automatico in acciaio (PAM 682) con calibro P9010. Qui sul PAM 1074 troviamo il cal. P900. Il più recente movimento automatico di manifattura, già montato sugli altri Sub da 42, è sensibilmente più sottile: 4,2 millimetri di spessore contro i 6mm del 9010, quindi rende tutto l’orologio più confortevole al polso; tuttavia, è anche esteticamente meno congeniale alla cassa. Per cui, l’unica critica che muovo a questo nuovo campione Panerai è il vetro zaffiro sul fondello, peraltro superfluo orpello su tutti i subacquei professionali.

Riguardo Panerai, una piccola chiosa filosofica sul pur rimarchevole Elab-Id, costruito per il 98,6% di materiali riciclati. L’orologio meccanico è uno dei pochi oggetti intrinsecamente sostenibili che ci circondano nel quotidiano; per fabbricazione, funzionamento e orizzonte d’utilizzo. Non credo che le Manifatture del tempo abbiano tutta questa necessità di partecipare alla crociata per salvare il pianeta. Già tanti, tantissimi, ostentano tale modesta ambizione. Ciò precisato, se proprio vogliamo parlare di sostenibilità – qualunque cosa questo lemma significhi di preciso – trovo i 60mila euro richiesti… poco sostenibili. Se davvero si volesse favorire un’economia circolare, più interessante per i clienti sarebbe avere la possibilità di dare in permuta il proprio Luminor usato in boutique per averne in cambio uno eco, con ragionevole esborso di qualche migliaio di euro. 

Passando agli orologi formali, nessuno come la Maison Cartier ha saputo modellare la forma dell’orologeria. Dal Santos del 1904, passando per il Tonneau del 1906, il Tortue del 1913 al Tank del 1919, fino al Cloche del 1922 sul quale ci soffermeremo oggi. Dagli albori della produzione da polso il flusso circolare del tempo non veniva semplicemente accompagnato da casse rotonde, piuttosto proiettato, sedotto, corazzato, espugnato. Nel Cloche appare scampanato, ponendo il giro delle ore in asse con il giro della corona a cabochon. Delle tante declinazioni presentate a W&W per la collezione Cartier Privé, tutte in 100 esemplari e tutte bellissime, come dress watch scelgo la referenza in platino con quadrante crema, le cui cromie esaltano con discrezione la purezza del design a campana. Realizzato con cassa da 31,75 x 28,75 millimetri è un esemplare di rigorosissima destinazione formale; impeccabile per una cerimonia.

Proprio nell’arte di proporzione, nell’equilibrio fra concretezza funzionale e incanto onirico, risiede da sempre il genio Cartier. Anche per la donna. La calda morbidezza di tocco femminile si sublimò alla fine degli anni 50 nel Baignoire, che rinnovò ispirazioni stilistiche introdotte già nel 1912; oggetto di superba delicatezza, lo ricordiamo azzimare il polso di regine come Romy Schneider e Catherine Deneuve. Ma l’apice espressivo del modello venne raggiunto con il Baignoire Allongée, variazione unisex cesellata negli atelier di Cartier London, che troverà poi la sua esaltazione più ardita nel Crash, dove l’apollineo lascerà spazio al dionisiaco, l’ordine al caos, per farsi icona di singolarità.

In occasione del SIHH 2019, la Manifattura presentò una declinazione gioiello dell’Allongée, la cui bellezza mi sembrava difficile da superare. Ebbene, guardando il nuovo Libre Bagnoire Turtle Watch ho molte esitazioni. Aspettando di vederlo dal vivo, l’impatto multimediale è stato incantevole. Tuttavia, come sapete, è ormai tradizione di Perpetual Passion far scegliere alle signore che cosa indossare al polso. E fra le novità 2021 di W&W la mia compagna è andata dritta sul Reverso One Precious Flowers. Un florilegio di malie art déco esaltate dalla viva modulabilità del capolavoro di JLC. Anche calibro 846 a carica manuale, che si modella alla cassa, profuma di Grande Maison.

E rimaniamo da Jaeger-LeCoultre per la menzione d’onore. L’Hybris Mechanica calibro 185 è il meglio che si è visto da remoto a Ginevra. Se il Reverso nacque nei primi anni 30 del secolo scorso come geniale quanto pragmatico segnatempo per i giocatori di polo, dopo quasi un secolo nella sua versione più complicata di sempre è divenuto un magnete di misurazioni astronomiche. Undici complicazioni distribuite sui quattro lati di una cassa da 51 x 31 x 15 per una portabilità aurea. Un divino sfizio da un milione e 400mila euro; un peccato di Hybris che anche Dante avrebbe perdonato.